
Com’è noto la legge 190/2012 ha introdotto nell’art. 53 del D.lgs 16572001 il comma 16-ter una norma (definita pantouflage) in base alla quale i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.
Purtroppo molte amministrazioni non hanno ancora provveduto a dare concreta attuazione alla norma la cui ratio della norma è volta al tentativo di ridurre il rischio di situazioni di corruzione connesse all’impiego del dipendente successivamente alla cessazione del rapporto di
lavoro. Si intende cioè evitare che durante il periodo di servizio il dipendente possa precostituirsi situazioni lavorative vantaggiose sfruttando la propria posizione e il proprio potere all’interno dell’amministrazione al fine di ottenere un lavoro con l’impresa o il soggetto privato con cui entra in contatto.
Allo scopo di prevenire possibili violazioni di legge è opportuno che gli uffici competenti provvedano a:
-inserire nei contratti di assunzione del personale la clausola che prevede il divieto di prestare attività lavorativa (a titolo di lavoro subordinato o di lavoro autonomo) per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego presso i destinatari di provvedimenti adottati o di contratti conclusi con l’apporto decisionale del dipendente stesso;
-inserire nei bandi di gara o negli atti prodromici agli affidamenti, anche mediante procedura negoziata, la condizione di non aver concluso contratti di lavoro subordinato o autonomo e comunque di non aver attribuito incarichi ad ex dipendenti, che hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni nei loro confronti per il triennio successivo alla cessazione del rapporto;
-disporre l’esclusione dalle dalle procedure di affidamento, dei soggetti per i quali sia emersa la situazione di cui al punto precedente
-segnalare i casi di violazione del divieto contenuto nell’art. 53, comma 16-ter, del D.Lgs. n. 165 del 2001.
Nei contratti deve verificarsi l’avvenuto inserimento della clausola di cui sopra .
I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione della normativa di cui sopra sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi
eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.
In considerazione di talune problematiche sorte in sede applicativa l’ANAC ha ritenuto, con delibera n. 448/2020 di effettuare una segnalazione al Parlamento suggerendo alcune modifiche.
Le proposte dell’ANAC attengono in particolare alla estensione del regime delle inconferibilità e delle incompatibilità con la previsione di una disciplina per le cariche politiche non solo per la “provenienza” (in parte già prevista) ma anche la “destinazione”. A tale riguardo, si proponeva di circoscrivere l’intervento normativo alle cariche politiche conferite per nomina, quindi non elettive. Vedremo cosa farà il Parlamento.
Resta ancora aperta peraltro la possibilità per il personale sanitario collocato in quiescenza di andare a lavorare presso case di cura private accreditate (che quindi percepiscono somme dalla regione), utilizzando così la formazione e la notorietà acquisti negli ospedali pubblici per fare concorrenza alle stesse strutture dove hanno lavorato.
C’è ancora molta strada da fare.