La sen. Boldrini ha presentato in questi giorni il disegno di legge n. 1616 recante “Disposizioni in materia di rapporto di lavoro esclusivo degli esercenti le professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione,della prevenzione, nonché della professione ostetrica, dipendenti delle aziende degli enti del Servizio sanitario nazionale”.
Una scelta importante per rafforzare il SSN.
La stessa presentatrice del provvedimento spiega i motivi della propria decisione nella relazione al disegno di legge:
In questi ultimi decenni l’azione del Parlamento, del Governo e delle regioni ha avviato un processo di profonda riforma, in ambito formativo e ordinamentale, delle professioni sanitarie infermieristiche e tecniche che non ha pari in altri comparti professionali. La proclamazione nel 2020 da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) dell’anno internazionale dell’infermiere e dell’ostetrica, può divenire l’occasione perché il Parlamento perfezioni e implementi il percorso riformatore di queste professioni, come delle altre professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, già tra i più avanzati nell’Unione europea, che sia funzionale parimenti al soddisfacimento dei bisogni di salute ed alla valorizzazione dei professionisti. Questo processo di riforma delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche e tecniche, della riabilitazione e della prevenzione è stata ed è la maggiore e più discontinua novità nell’organizzazione del lavoro in sanità ed è pertanto giunto il momento di adeguare a questa evoluzione lo stato giuridico del personale appartenente a queste professioni, dipendenti delle aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale (SSN). Per tali motivi questo disegno di legge vuole ridisegnare lo stato giuridico di tali professioni per adattarlo alla suddetta evoluzione e per renderlo funzionale all’attuazione delle scelte strategiche di attuazione del dirittoalla salute stabilite dalla programmazione sanitaria e sociosanitaria, sia nazionale che regionale. La complessità delle competenze, delle funzioni e delle responsabilità di queste professioni, in crescita dinamica ed esponenziale in relazione all’evoluzione scientifica,tecnologica, formativa e ordinamentale del SSN, non possono che rendere necessario un intervento per garantire a questi professionisti le stesse modalità previste per le professioni sanitarie normate nella dirigenza e cioèil sistema degli incarichi professionali previsto per ogni professionista, rinnovabile senza limite temporale, salvo valutazione negativa o soppressione dell’incarico, nonché il diritto ad esercitare l’attività intramoenia, non sussistendo più alcuna motivazione che giustifichi la loro discriminazione. L’intramoenia non è il «male assoluto»bensì, se ben organizzato e gestito, come in Emilia-Romagna, una risorsa per il sistema,i cittadini e gli operatori. Allo stesso tempo,è necessario rivedere il percorso di formazione, adeguando i contenuti all’evoluzione in corso, in particolare prevedendo indirizzi propriamente professionali specialistici nella laurea magistrale e non solo gestionali e didattici.
Qui è possibile trovare il testo integrale del disegno di legge:
Con l’introduzione dell’aziendalizzazione (1992) ha iniziato a farsi strada il principio manageriale del make or buy che consiste nella valutazione da parte dei dirigenti circa l’opportunità di gestire un servizio o una attività direttamente o di affidarlo a imprese esterne.
Viene fatto risalire al 1996 e in particolare alle Linee Guida del Ministero della sanità n. 2 l’avvio dell’outsourcing termine con il quale si intende il trasferimento, in base a un rapporto di tipo contrattuale, della produzione di servizi e attività strumentali, che in precedenza erano svolte al proprio interno, ad imprese private con il coinvolgimento di operatori portatori di risorse e competenze non presenti altrimenti nelle aziende sanitarie.
Di fatto i costi sono stati trasferiti dai capitoli relativi al personale (sui quali è stato imposto l’obbligo di riduzione della spesa) e all’acquisto di beni a quelli relativi alle forniture di servizi (sui quali non era stato posto alcun limite).
Il blocco del turn over e delle assunzioni attuato in questi anni con la scusa delle ricorrenti crisi economiche non ha fatto risparmiare nulla, ma anzi la spesa complessiva delle aziende sanitarie è aumentata (in qualche caso dal 2000 al 2018 – ultimo anno di cui il Ministero della salute mette a disposizione i dati) a causa dell’affidamento al’esterno di servizi (amministrativi e sanitari), attività e prestazioni che un tempo venivano effettuati in gestione diretta con il proprio personale dalle aziende sanitarie.
Non è servita neanche la spending review anche se qualche amministratore aveva cercato di fare fare qualche taglio.
Neppure nelle Regioni in Piano di rientro si sono avuti risultati apprezzabili.
Il Ministero dell’economia e delle finanze nel suo ultimo Rapporto (n.6/2018) sul monitoraggio della spesa ha rilevato solo un rallentamento dell’aumento della spesa.
A questo si aggiunga che la tanto declamata qualità dei servizi, che sarebbe dovuta arrivare con l’affidamento dell’esterno, in alcuni casi invece di migliorare è peggiorata.
Qualcuno si dovrebbe mettere la mano sulla coscienza per riparare ai danni fatti.
Il Ministro Speranza in un suo video ha illustrato i provvedimenti adottati con l’ultimo decreto legge che si aggiungono a quanto già fatto nei mesi precedenti: “Con i tre miliardi e 250 milioni di euro per la sanità stabiliti nel decreto rilancio si potrà rafforzare in maniera profonda e duratura il nostro Servizio sanitario nazionale. Tante cose contano, ma avere un SSN di qualità è la cosa che conta di più. Poter vivere in un Paese in cui se stai male non conta quanti soldi hai, non conta di chi sei figlio, non conta in che territorio vivi ma hai diritto a essere curato, penso che sia il valore più straordinario che dobbiamo tutti saper riconoscere e difendere con ogni energia”.
Qui si seguito le misure per il rilancio della salute pubblicate sul sito del Ministero:
TERRITORIO – 1.256 MILIONI
ASSISTENZA DOMICILIARE
Verranno implementate sul territorio, con personale dedicato, le azioni terapeutiche e assistenziali domiciliari. L’assistenza ai pazienti al di sopra dei 65 anni di età passerà dagli attuali 610.741 soggetti, pari al 4% della popolazione over 65, a 923.500 unità, pari al 6,7%. Un tasso che porta l’Italia al di sopra della media OCSE, attualmente del 6%. Raddoppiati i servizi per la popolazione al di sotto dei 65 anni: si andrà dagli attuali 69.882 assistiti a domicilio, pari allo 0,15% della popolazione under 65, a 139.728, pari allo 0,3%. Risorse stanziate per personale e servizi 733.969.086 euro.
RETE TERRITORIALE E USCA
Verrà potenziata l’attività di sorveglianza attiva in tutte le Regioni e le Province autonome a cura dei Dipartimenti di prevenzione, in collaborazione con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta. Viene disposto l’incremento dei controlli nelle residenze sanitarie assistite (RSA), anche attraverso la collaborazione di medici specialisti. Sul territorio, sarà aumentata la funzionalità delle Unità speciali di continuità assistenziale (USCA), deputate al supporto dei servizi di assistenza domiciliare, anche reclutando al loro interno medici specialisti ambulatoriali convenzionati. Risorse stanziate per personale e servizi 61.000.000 euro.
L’INFERMIERE DI QUARTIERE
Previsto il rafforzamento dei servizi infermieristici territoriali, per potenziare l’assistenza domiciliare integrata ai pazienti in isolamento domiciliare e ai soggetti cronici, disabili, con disturbi mentali o in situazioni di fragilità. A questo fine viene introdotta la figura dell’infermiere di quartiere, 9.600 nuovi infermieri, 8 ogni 50mila abitanti, anche a supporto delle Unità speciali di continuità assistenziale (USCA). Risorse stanziate per le nuove assunzioni 332.640.000 euro. Si aumenta anche, con 10 milioni di euro, la disponibilità del personale infermieristico a supporto degli studi di medicina generale, per fronteggiare l’emergenza.
MONITORAGGIO DOMICILIARE
Per una maggiore sorveglianza sanitaria domiciliare verrà potenziato il monitoraggio, anche attraverso l’uso di app di telefonia mobile. Tutto ciò permetterà di coordinare al meglio i servizi d’assistenza necessari ai pazienti, che riceveranno in dotazione anche i saturimetri per misurare i livelli di ossigenazione, e di individuare subito un eventuale peggioramento clinico di un assistito a domicilio o in una residenza alberghiera, mettendo in moto una tempestiva ospedalizzazione. A tal fine, saranno attivate centrali operative regionali, dotate di apposito personale e di apparecchiature per il telemonitoraggio e telemedicina. Risorse stanziate per personale, infrastrutture e strumentazioni 72.271.204 euro.
ASSISTENTI SOCIALI
Per la valutazione complessiva dei bisogni dei pazienti e l’integrazione con i servizi socio-sanitari, le Unità speciali di continuità assistenziale (USCA) saranno integrate dalla figura degli assistenti sociali regolarmente iscritti all’albo professionale. Risorse stanziate 14.256.000 di euro.
STRUTTURE TERRITORIALI DI ISOLAMENTO
Laddove per applicare le misure di isolamento domiciliare e di quarantena, o per ospitare pazienti dimessi dagli ospedali, sia necessario disporre temporaneamente di immobili alternativi al domicilio privato, Regioni e province potranno stipulare contratti d’affitto con strutture alberghiere o di tipologia analoga. Verranno stanziati fondi per infermieri, operatori tecnici assistenziali, sanificazione, formazione del personale alberghiero, lavanderia, manutenzione delle strutture. Risorse stanziate 32.497.693 euro.
OSPEDALI – 1.467 MILIONI
COVID-HOSPITAL
Verrà incrementata e resa stabile la realizzazione di Covid-Hospital, un pezzo fondamentale nella strategia contro il virus, dal momento che gli ospedali misti facilmente moltiplicano il contagio. Saranno strutture ad alto valore aggiunto in termini di innovazione, tecnologia e competenze, dedicati esclusivamente ai pazienti Covid-19. Che saranno curati da personale adeguatamente formato, all’interno di spazi strutturalmente distinti.
TERAPIE INTENSIVE E OSPEDALI MOBILI
Vengono consolidati stabilmente 3.500 posti in più in terapia intensiva. Si passa da un numero di 5.179 (pre-emergenza) a 8.679, con un incremento del 70%. A questi si aggiunge la predisposizione alla terapia intensiva, con la sola implementazione di ventilazione meccanica e monitoraggio, di 2.112 posti letto di terapia semintensiva. Inoltre, si aggiungono 300 posti letto di terapia intensiva suddivisi in 4 strutture movimentabili, pronte per essere allestite in breve tempo nelle zone ad accresciuto fabbisogno. Questo porta la disponibilità di terapie intensive a 11.091 posti letto di terapia intensiva, + 115% rispetto alla disponibilità in pre-emergenza.
TERAPIE SEMINTENSIVE
Si incrementano stabilmente su tutto il territorio nazionale anche 4.225 posti letto di terapia semintensiva, di cui, come detto, il 50% prontamente convertibile in terapia intensiva. Potranno, cioè, essere trasformati immediatamente in vere e proprie postazioni di rianimazione con la sola integrazione di apparecchiature di ventilazione e monitoraggio.
PRONTO SOCCORSO
Tutti i pronto soccorso e DEA verranno ristrutturati e riorganizzati, prevedendo la separazione delle strutture, l’acquisto di attrezzature, la creazione di percorsi distinti per i malati Covid-19 e di aree di permanenza per i pazienti in attesa di diagnosi.
COVID-AMBULANCE
Verranno acquistati mezzi di soccorso H24 ad alto biocontenimento, da utilizzare per trasferimenti di pazienti Covid-19, per dimissioni protette o per trasporti interospedalieri. Prevista anche la dotazione di personale dedicato con medico, infermiere e autista/barelliere.
PERSONALE – 526 MILIONI
INCENTIVI AL PERSONALE SSN
Previsto l’incremento delle risorse per straordinari del personale ospedaliero, indennità contrattuali, produttività e risultato. Risorse stanziate 190.000.000 euro.
RISORSE PER ULTERIORI ASSUNZIONI
Stanziati altri 241.000.000 euro da destinare a ulteriori assunzioni in ambito ospedaliero e SSN.
FORMAZIONE
Previsto un incremento di 4.200 borse di specializzazione in area medica. In particolare, saranno aumentate le borse in anestesia e rianimazione, medicina d’urgenza, pneumologia, malattie infettive e loro specialità equipollenti.
L’ISTAT ha dedicato un’analisi sull’occupazione nella sanità pubblica che è stata pubblicata oggi.
Al 31 dicembre 2018, sono occupati nella sanità pubblica circa 650 mila dipendenti a tempo indeterminato, un quinto del personale stabilmente assunto nella pubblica amministrazione.
A partire dal 2009 gli occupati a tempo indeterminato si sono progressivamente ridotti. Nel 2018, se ne contano circa 44 mila in meno (da 694 mila a 650 mila).
La contrazione del personale stabile è stata del 5,4% tra i medici (inclusi odontoiatri e veterinari). Solo un quarto delle cessazioni è stato compensato dalla crescita del lavoro flessibile (+26%).
L’età media dei dipendenti a tempo indeterminato del Servizio Sanitario Nazionale è pari a 52,3 anni per gli uomini e a 49,9 anni per le donne.
I dirigenti – medici e non – sono quelli più anziani soprattutto tra gli uomini: il 60,4% dei dirigenti medici ha più di 55 anni e il 38% supera i 60.
La retribuzione lorda annua media pro capite nel comparto della sanità risulta di quasi 83 mila euro per i medici, di 73 mila euro per i dirigenti non medici e di 31 mila euro per il personale non dirigente.
In questi giorni tutti gli aspiranti allenatori della nazionale di calcio non potendo momentaneamente occuparsi del loro sport preferito hanno cambiato lavoro: sono diventati epidemiologi ed esperti di sanità e ci ammanniscono quotidianamente le loro ricette a tutti i livelli.
Avendo vissuto molto intensamente gli anni che dalla riforma ospedaliera del 1968 hanno portato alla riforma sanitaria del 1978, vorrei dare il modesto contributo alla verità dei fatti.
Come molti ricordano prima delle due riforme gli ospedali erano gestiti da IPAB, da Comuni, da enti assicurativi (come l’INAIL) ecc. mentre l’assistenza territoriale era governata dalle mutue che la gestivano con il sistema delle convenzioni: con singoli professionisti che svolgevano attività di medicina generale (medici della mutua), con specialisti ambulatoriali interni (prestavano cioè la loro opera presso i poliambulatori a gestione diretta delle mutue), con specialisti esterni (in quanto all’epoca i laboratori di analisi, i gabinetti di radiologia e i centri di fisioterapia erano gestiti da medici specialisti che operavano come impresa individuale – art. 2082 c.c. – in quanto veniva valorizzato il nome del professionista), con case di cura private ( in genere gestite da società per azioni in cui erano presenti i medici che vi operavano), ecc.
Con la riforma ospedaliera tutti i nosocomi furono trasformati in enti ospedalieri mentre con la successiva riforma sanitaria anche se in apparenza non cambiò nulla dato che i medici di famiglia e i pediatri furono convenzionati con il SSN e gli specialisti interni (c.d. SUMAI) ebbero anch’essi la loro convenzione, per quanto riguarda gli specialisti esterni si trasformarono rapidamente in società a responsabilità limitata (cosa che fino a quell’epoca non era ritenuta legittima dalla giurisprudenza) mantenendo il loro nome ma favorendo così l’ingresso di capitali privati; mentre le case di cura accelerarono il processo di allontanamento dalla proprietà dei medici che le avevano fondate trasformandole nella maggior parte dei casi in semplici attività commerciale.
Il SSN anche dall’estero è stato visto come un business attirando molti capitali.
Ma ben presto, specialmente dopo l’aziendalizzazione delle USL fu avviato un processo di affidamento all’esterno dei servizi (in inglese outsourcing) che iniziò dapprima con i servizi economali eliminando le vecchie lavanderie interne, le cucine, ecc. acquistando questi servizi dall’esterno, ma allargandosi rapidamente anche all’ausiliariato, alla vigilanza, alla gestione della centrale termica, alla gestione dell’archivio delle cartelle cliniche, ecc.
Con la nascita di nuove esigenze assistenziali, specialmente sul territorio anche la quasi totalità dei nuovi servizi è stata affidata società per azioni (RSA), a cooperative o ad associazioni (ADI) per cui progressivamente il costo dei servizi è aumentato a livelli insostenibili.
Ma da tutto questo è derivato anche un abbassamento del livello della qualità percepita dai cittadini.
Quindi con l’aziendalizzazione invece di migliorare i servizi sono peggiorati e l’epidemia non ha fatto altro che portarli alla luce.
Ora, qualunque tipo di intervento sul SSN si vorrà fare non potrà prescindere dai mali ereditati volutamente dal sistema mutualistico e lasciati irrisolti affrontandoli a viso aperto una volta per tutte per dare a questo Paese un Servizio Sanitario pubblico veramente.
Il disegno originario della riforma si è perso, bisogna rimetterci mano riparando i molti danni fatti in questi anni, ma anche andando più avanti, riprendendo i primi progetti di Giovanardi, Foa, Maccarone e Mariotti eliminando una volta per tutte le separazioni tra ospedale e territorio per completare la riforma assicurando una vera unicità delle cure.
Per fare questo il personale dovrà avere un ruolo unico assicurando sia l’assistenza sul territorio che quella negli ospedali.
Ci vorrà coraggio e una classe politica onesta e libera da conflitti di interesse.
La nuova edizione del mio saggio è stata resa necessaria dall’emergenza sanitaria dell’epidemia che ha riportato l’attenzione sul SSN e sulle modalità del suo funzionamento.
Uno dei primi capitoli del volume è dedicato al SSN come motore di sviluppo e di democrazia.
Per troppi anni la maggioranza dei nostri rappresentanti politici ha visto nel Servizio sanitario nazionale solamente una fonte di costi elevata senza rendersi conto che grazie al SSN si è sviluppato un sistema che in Italia occupa direttamente 1.158.321[1] unità di personale sanitario, ai quali dobbiamo aggiungere quello amministrativo e quello dell’indotto (servizi sanitari, servizi ospedalieri e residenziali, commercio ecc.) per un totale di 2,4 milioni pari al 10% della forza lavoro del Paese.
La “filiera della salute” include i settori che producono, fanno ricerca, commercializzano e offrono servizi di natura sanitaria[2] ed è composta sia dalla parte pubblica, sia dalla parte privata che è prevalentemente dedita alla manifattura industria farmaceutica, dispositivi e tecnologie medicali), il commercio e i servizi.
Un sistema che ha anche favorito la crescita in Italia di una industria medicale che rappresenta uno dei principali motori di sviluppo del Paese[3] con una produzione pari a € 42,9 miliardi che rappresenta il 12,4% di quella realizzata a livello europeo.
Il saldo commerciale peraltro è negativo per € 0,5 mld mentre è positivo se si esamina il solo il settore farmaceutico.
Molto fiorente anche la produzione di dispositivi medici italiani che rappresentano il 10,0% di questo mercato in continua espansione.
Il saldo della bilancia dei pagamenti nel settore dei dispositivi medici, sempre nel 2017, pur essendo anch’esso negativo è in diminuzione ed è pari a € 1,9 miliardi.
Da non sottovalutare anche l’apporto delle ICT che stanno contribuendo notevolmente allo sviluppo del SSN.
Per quanto riguarda la diagnostica in vitro siano al 16,0% della produzione europea preceduti solo da Germania e Francia.
In sostanza la “filiera della salute” contribuisce in maniera notevole alla formazione della ricchezza nazionale producendo un elevato volume di reddito, assorbendo una quota rilevante di personale altamente qualificato ed investendo notevoli risorse nella ricerca e nell’innovazione.
Se guardiamo indietro, in questi quaranta anni l’assistenza sanitaria è cambiata in maniera notevole.
Il SSN in questi anni, nonostante i molti problemi, ha garantito: -Maggiore sicurezza dal punto di vista sanitario; -Benessere diffuso, con eliminazione del divario tra salute e benessere; -Maggiore equità rispetto al passato, anche se permangono numerose disuguaglianze che rappresentano un fattore di malessere sociale da sradicare; -Prevenzione delle malattie, che in precedenza era molto limitata.
Mentre un tempo le persone venivano ricoverate in ospedale quando non c’era più nulla da fare, per morire, oggi le persone si recano serene in ospedale per essere guarite e per poter tornare ad una vita normale insieme ai loro cari.
Peraltro, anche a causa delle mutate condizioni sociali e della situazione economica non favorevole si assiste ad una caduta di valori come la solidarietà sociale e ad una forte contrazione del welfare state.
Dopo l’epidemia sarà opportuno investire sul SSN per favorire la ripresa e per contribuire ad eliminare le profonde disuguaglianze che si sono create nel nostro Paese e per eliminare il forte disagio sociale causato dalla crisi economica dovuta al coronavirus.
Al link seguente è possibile leggere ed eventualmente acquistare sia la copia cartacea che quella in ebook:
Il 7 aprile 2020 è il giorno in cui si celebra il lavoro di infermieri e ostetriche e si ricorda ai leader mondiali il ruolo fondamentale che svolgono nel mantenere il mondo in salute. Gli infermieri e altri operatori sanitari sono in prima linea nella risposta di COVID-19: fornire alta qualità, trattamenti e cure rispettosi, condurre il dialogo comunitario per affrontare paure e domande e, in alcuni casi, raccogliere dati per studi clinici. Molto semplicemente, senza infermieri, non ci sarebbe risposta.
In questo Anno internazionale dell’infermiera e dell’ostetrica, la Giornata mondiale della salute vuole mettere in evidenza lo stato attuale dell’assistenza infermieristica e in tutto il mondo.
L’OMS e i suoi partner formuleranno una serie di raccomandazioni per rafforzare la forza lavoro infermieristica e ostetrica.
Ciò sarà di vitale importanza per raggiungere obiettivi nazionali e globali relativi alla copertura sanitaria universale, alla salute materna e infantile, alle malattie infettive e non trasmissibili, tra cui la salute mentale, la preparazione e la risposta alle emergenze, la sicurezza dei pazienti e la fornitura di servizi integrati incentrati sulle persone cura, tra gli altri.
Serve il supporto di tutti in questa Giornata mondiale della salute per garantire che le forze di lavoro infermieristiche e ostetriche siano abbastanza forti da garantire a tutti, ovunque, l’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno.
Questo è assolutamente importante durante questa gravissima epidemia che ha messo a nudo tutte le carenze del nostro SSN che quotidianamente le nostre infermiere, i nostri infermiere e le nostre ostetriche insieme ai medici cercano di tamponare nell’interesse dei pazienti.
Migliaia di infermieri hanno risposto all’avviso pubblicato a seguito della nuova Ordinanza del Dipartimento della protezione civile n. 656 in data 26 marzo con la quale sono state adottate “Ulteriori interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, che è stata poi pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 82 del 28 marzo.
Ricordo che in particolare con l’art. 1 del provvedimento si dispone quanto segue:
Per l’attuazione delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID -19, il Dipartimento della protezione civile, in deroga alla normativa vigente, è autorizzato a integrare l’Unità medico specialistica di cui all’art. 1 dell’ordinanza del Capo dipartimento della protezione civile n. 654 del 21 marzo 2020, con una Unità tecnico infermieristica a supporto delle strutture sanitarie regionali individuate ai sensi dei commi 2 e 3. L’Unità è composta di un numero massimo di 500 infermieri scelti dal Capo del Dipartimento della protezione civile, sulla base delle specifiche esperienze professionali ritenutenecessarie, tra le seguenti categorie: a) Infermieri dipendenti del Servizio sanitario nazionale; b) Infermieri dipendenti da strutture sanitarie anche non accreditate con il Servizio sanitario nazionale; c) Infermieri libero professionisti anche con rapporto di somministrazione di lavoro.La partecipazione alla predetta Unità è su base volontaria e gli infermieri individuati si rendono disponibili a prestare tale attività presso i servizi sanitari regionali, che ne facciano richiesta, individuati dal Capo del Dipartimento della protezione civile con priorità per quelli maggiormente in difficoltà operativa a causa dell’emergenza. Per l’impiego nella detta Unità di cui al comma 1, lettera a) ,si prescinde dall’assenso del servizio sanitario regionale di appartenenza. Per gli infermieri di cui alla lettera b) del medesimo comma è richiesto il previo assenso della struttura di appartenenza qualora trattasi di strutture sanitarie accreditate con il servizio sanitario nazionale e, per quelli di cui alla lettera c) , della struttura presso cui prestano servizio in regime di somministrazione lavoro qualora trattasi di strutture convenzionate con il Servizio sanitario nazionale.
L’attività prestata nell’Unità è considerata servizio utile a tutti gli effetti. Il Capo del Dipartimento della protezione civile privilegia, ove possibile, l’assegnazione nei servizi sanitari delle regioni maggiormente in difficoltà operativa a causa dell’emergenza limitrofe a quella di provenienza dell’infermiere. Le regioni presso cui gli infermieri sono destinati a prestare la propria attività provvedono all’alloggio del personale ed al rimborso delle spese documentate di viaggio tra il domicilio e la sede assegnata.
A ciascun infermiere dell’Unità è corrisposto, per ogni giorno di attività effettivamente prestato, un premio di solidarietà forfettario di 200 euro, che non concorre alla formazione del reddito, corrisposto direttamente dal Dipartimento della protezione civile. Per gli infermieri di cui al comma 1, lettere a) e b) resta fermo il trattamento economico complessivo, eventualmente già in godimento, a carico dei servizi sanitari ovvero delle strutture di appartenenza.
L’Unità opera fino alla cessazione dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020.
Il Dipartimento della protezione civile è autorizzato, laddove le assicurazioni professionali degli infermieri non coprano l’attività prestata ai sensi della presente ordinanza, a stipulare idonea polizza assicurativa e professionale.
Agli oneri di cui al presente articolo si provvede a valere sulle somme stanziate per l’emergenza.
Con una Ordinanza del Dipartimento della Protezione Civile n. 656 del 26 marzo viene disposto di costituire una Unità tecnico infermieristica con le seguenti finalità: 1. Per l’attuazione delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID -19, il Dipartimento della protezione civile, in deroga alla normativa vigente, è autorizzato a integrare l’Unità medico specialistica di cui all’articolo 1 dell’Ordinanza del Capo dipartimento della protezione civile n. 654 del 21 marzo 2020, con una Unità tecnico infermieristica a supporto delle strutture sanitarie regionali individuate ai sensi dei commi 2 e 3. L’Unità è composta di un numero massimo di 500 infermieri scelti dal Capo del Dipartimento della protezione civile, sulla base delle specifiche esperienze professionali ritenute necessarie, tra le seguenti categorie: a) Infermieri dipendenti del Servizio sanitario nazionale; b) Infermieri dipendenti da strutture sanitarie anche non accreditate con il Servizio sanitario nazionale; c) Infermieri libero professionisti anche con rapporto di somministrazione di lavoro. 2. La partecipazione alla predetta Unità è su base volontaria e gli infermieri individuati si rendono disponibili a prestare tale attività presso i servizi sanitari regionali, che ne facciano richiesta, individuati dal Capo del Dipartimento della protezione civile con priorità per quelli maggiormente in difficoltà operativa a causa dell’emergenza. Per l’impiego nella detta Unità di cui al comma 1, lettera a), si prescinde dall’assenso del servizio sanitario regionale di appartenenza. Per gli infermieri di cui alla lettera b) del medesimo comma è richiesto il previo assenso della struttura di appartenenza qualora trattasi di strutture sanitarie accreditate con il servizio sanitario nazionale e, per quelli di cui alla lettera c), della struttura presso cui prestano servizio in regime di somministrazione lavoro qualora trattasi di strutture convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. 3. L’attività prestata nell’Unità è considerata servizio utile a tutti gli effetti. Il Capo del Dipartimento della protezione civile privilegia, ove possibile, l’assegnazione nei servizi sanitari delle Regioni maggiormente in difficoltà operativa a causa dell’emergenza limitrofe a quella di provenienza dell’infermiere. Le Regioni presso cui gli infermieri sono destinati a prestare la propria attività provvedono all’alloggio del personale ed al rimborso delle spese documentate di viaggio tra il domicilio e la sede assegnata. 4. A ciascun infermiere dell’Unità è corrisposto, per ogni giorno di attività effettivamente prestato, un premio di solidarietà forfettario di 200 euro, che non concorre alla formazione del reddito, corrisposto direttamente dal Dipartimento della protezione civile. Per gli infermieri di cui al comma 1, lettere a), e b) resta fermo il trattamento economico complessivo, eventualmente, già in godimento, a carico dei servizi sanitari ovvero delle strutture di appartenenza. 5. L’Unità opera fino alla cessazione dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020. 6. Il Dipartimento della Protezione Civile è autorizzato, laddove le assicurazioni professionali degli infermieri non coprano l’attività prestata ai sensi della presente ordinanza, a stipulare idonea polizza assicurativa e professionale. 7. Agli oneri di cui al presente articolo si provvede a valere sulle somme stanziate per l’emergenza.
Il numero dei medici e del personale sanitario deceduto o contagiato dal coronavirus in questi giorni è cresciuto vertiginosamente.
I medici mori sono sono oramai trenta di cui diciassette medici di famiglia.
Picco di contagi anche tra il restante personale sanitario con quasi 5.000 unità colpite e poste in quarantena.
Il totale degli operatori sanitari italiani contagiati è superiore a quello della CINA.
Tutto questo nonostante il Consiglio dei Ministri avesse deliberato sin dal 31 gennaio l’emergenza dell’ epidemia da coronavirus e quindi regioni e direzioni generali delle aziende sanitarie fossero perfettamente al corrente della gravità della situazione.
Le norme per la tutela della sicurezza dei lavoratori (D.lgs 81/2008) impongono che il datore di lavoro coadiuvato dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione, dal medico competente, nonché previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza avrebbe dovuto provvedere all’aggiornamento del Documento di valutazione dei rischi (artt. 17,18 e 29 del D.lgs 81/2008), ma non risulta che tutti abbiano provveduto.
Nello stesso tempo il datore di lavoro avrebbe dovuto assicurare la corretta dotazione dei DPI (quelli che nel NHS sono chiamati Protective Individual Equipment) per il personale allo scopo di proteggerlo.
Solo grazie alle sollecitazioni dei sindacati è stato sottoscritto il 14 marzo un Protocollo per la prevenzione e la sicurezza dei lavoratori della Sanità, dei Servizi socio sanitari e Socio assistenziali in ordine all’emergenza sanitaria da COVID-19.
Purtroppo in questo mese e mezzo il virus si è diffuso nelle strutture sanitarie pubbliche e private e non è noto quanti siano i soggetti asintomatici.
Probabilmente in qualche caso sarebbe necessario utilizzare DPI con un livello di protezione maggiore rispetto a quelli forniti, in questo senso si è espresso Nino Cartabellotta il quale suggerisce anche di sottoporre a tampone tutti gli operatori esposti al contagio.
Risulta che i parenti di uno dei deceduti si sarebbero rivolti a un avvocato per valutare la possibilità di chiedere un risarcimento attraverso un’azione legale.
La situazione è molto grave perché il governo, ma con lui anche le regioni e i direttori generali delle aziende potrebbero trovarsi di fronte a richieste di danni molto rilevanti.