“IL DIRITTO ALLA SALUTE NEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE” SARA’ PRESENTATO PER LA PRIMA VOLTA ALL’ABBAZIA DI SAN NILO DI GROTTAFERRATA DALL’ASSOCIAZIONE NUOVI CASTELLI ROMANI

Grottaferrata (RM), Abbazia di
San Nilo, 1004

Sabato 14 alle ore 10, l’Associazione Nuovi Castelli Romani presenta il mio nuovo libro “Il diritto alla salute nel Servizio Sanitario Nazionale” nell’Abbazia di San Nilo di Grottaferrata.

Interverranno l’autore della prefazione il prof. Cesare Pinelli, ordinario di diritto pubblico e il prof. Claudio Letizia, ordinario di medicina interna entrambi dell’Università “Sapienza” di Roma; il Sindaco del Comune di Frascati Francesca Sbardella, il Sindaco del Comune di Nemi Alberto Bertucci, il Sindaco del comune di Castel Gandolfo Milvia Monachesi e il direttore sanitario dell’azienda USL Roma 6 dott. Roberto Corsi.

Saranno presenti: mons. Paolo Ricciardi, vescovo ausiliare di Roma; il sen. Bruno Astorre, Francesco Pittoni, Vice Presidente Vicario dell’UNAR; Francesco De Feo, Egumeno del Monastero Esarchico di Santa Maria di Grottaferrata e il dott. Ettore Pompili, Presidente onorario dell’Associazione NCR.

Il libro è diviso in sei parti:
1) Il processo della riforma
2) L’assistenza sanitaria
3) Organizzazione centrale del SSN
4) Organizzazione regionale del SSR
5) Strutture operative e loro funzioni
6) Diritti e responsabilità delle persone

Complessivamente sono 630 pagine con oltre 800 note di dottrina e giurisprudenza

Un libro scritto in maniera chiara e comprensibile anche per chi non ha una formazione giuridica e che spiega in maniera diffusa tutta la materia.

Molta attenzione è posta alla gestione delle risorse finanziarie, umane, strumentali e informatiche, ma anche sono trattate diffusamente anche tutte le altre funzioni come quelle dell’informazione e della partecipazione, princìpi rigorosamente dettati dalle norme e che troppo spesso non trovano riflesso nemmeno per sbaglio nell’operare concreto.

Viene sottolineata l’importanza degli organi di indirizzo (es. Sindaci, Conferenza locale sociale e sanitaria per le aziende sanitarie locali, ecc.) ma anche il ruolo dei cittadini proclamato da tutti, ma scarsamente rispettato.

Una occasione molto speciale, sia per il luogo prescelto che per le persone che saranno presenti.

Una occasione molto speciale, sia per il luogo prescelto che per le persone che saranno presenti.

Un volume che può essere utile per chi deve studiare, per chi vuole prepararsi per un concorso, ma anche per chi già lavora e vuole aggiornarsi anche per difendere i propri diritti, oltre che per avvocati che devono rappresentare qualche paziente o dipendente.

LE SANZIONI NEI CONFRONTI DEI DIRETTORI GENERALI

Breugel, Ecce homo

Il direttore generale è passibile di sanzioni come tutti i dipendenti pubblici ma esistono alcuni casi specifici previsti in primo luogo dall’art. 3-bis del d.lgs 502 del 1992:

«Quando ricorrano gravi motivi o la gestione presenti una situazione di grave disavanzo o in caso di violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità della amministrazione, la regione risolve il contratto dichiarando la decadenza del direttore generale e provvede alla sua sostituzione; in tali casi la regione provvede previo parere della Conferenza di cui all’articolo 2, comma 2-bis, che si esprime nel termine di dieci giorni dalla richiesta, decorsi inutilmente i quali la risoluzione del contratto può avere comunque corso. Si prescinde dal parere nei casi di particolare gravità e urgenza. Il sindaco o la Conferenza dei sindaci di cui all’articolo 3, comma 14, ovvero, per le aziende ospedaliere, la Conferenza di cui all’articolo 2, comma 2-bis, nel caso di manifesta in attuazione nella realizzazione del Piano attuativo locale, possono chiedere alla regione di revocare il direttore generale, o di non disporne la conferma, ove il contratto sia già scaduto».

Questo vale naturalmente anche nel caso di mancato raggiungimento dell’equilibrio economico di bilancio in relazione alle risorse negoziate nel rispetto degli obiettivi fissati dal Piano di rientro e di riqualificazione del Servizio sanitario regionale e dell’Intesa della Conferenza Stato-Regioni e Province autonome del 23 marzo 2005, nonché delle disposizioni di cui all’art. 52, comma 4, lettera d), della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e all’art. 1, comma 173, lettera f), della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

Puntuali sono le disposizioni contenute nel DM 21 giugno 2016 “Piani di cui all’articolo 1, comma 528, della legge 28 dicembre 2015,n. 208, per le aziende ospedaliere (AO), le aziende ospedaliere universitarie (AOU), gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici (IRCCS) o gli altri enti pubblici”

Sembrerebbe che in qualche regione in piano di rientro nonostante i direttori generali di alcune aziende ospedaliere non abbiano rispettato il piano di rientro per le loro aziende siano stati confermati o addirittura nominati in altra azienda più importante.

Qualora un direttore generale ometta di compiere un atto obbligatorio per legge, il presidente della regione, previa diffida con assegnazione di un termine per provvedere, nomina un commissario ad acta.

Nei casi più gravi è possibile anche la sospensione immediata per un periodo non superiore ai due mesi.

Sembra non inopportuno ricordare che le eventuali sanzioni comminate al direttore generale in quanto datore di lavoro hanno carattere personale e quindi devono essere pagate dallo stesso e non dall’azienda venendo a costituire in caso contrario un vero e proprio danno erariale.

MOLTO CRITICO IL RAPPORTO PiT SALUTE 2020 DI CITTADINANZA ATTIVA SULLE SCELTE POLITICHE DEGLI ULTIMI ANNI CHE HANNO MESSO IN GINOCCHIO IL SSN

E’ stato presentato questa mattina in live streaming il XXIII Rapporto PiT Salute di Cittadinanzattiva focalizzato quest’anno sull’ accesso alle prestazioni e assistenza territoriale le principali criticità che uniscono l’Italia negli ultimi 5 anni.

Il Servizio Sanitario Nazionale ha mostrato tutta la sua fragilità: la difficoltà di accesso alle prestazioni resta la voce più segnalata dai cittadini, sebbene in leggera diminuzione, negli ultimi 5 anni (30,5% nel 2015, 25,4% nel 2019), mentre cresce parallelamente il dato relativo all’assistenza territoriale (11,5% nel 2015, 19,7% nel 2019).

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L’ANNUALE RAPPORTO DELLA RGS SUL MONITORAGGIO DELLA SPESA SANITARIA

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha appena pubblicato il Rapporto n. 7 sul Monitoraggio della spesa sanitaria 2020.

Nelle premesse del Rapporto si afferma che il mantenimento degli standard qualitativi raggiunti rende indispensabile affrontare il tema della sostenibilità dei costi del sistema sanitario pubblico in presenza di livelli di finanziamento condizionati dai vincoli finanziari necessari per il rispetto degli impegni assunti dall’Italia in sede comunitaria. Ciò richiede che si prosegua nell’azione di consolidamento e di rafforzamento delle attività di monitoraggio dei costi e della qualità delle prestazioni erogate nelle diverse articolazioni territoriali del SSN, in coerenza con l’azione svolta negli ultimi anni.

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LA NUOVA EDIZIONE DI “SALUTE UGUALE PER TUTTI: …NOI CREDEVAMO…”

La nuova edizione del mio saggio è stata resa necessaria dall’emergenza sanitaria dell’epidemia che ha riportato l’attenzione sul SSN e sulle modalità del suo funzionamento.

Uno dei primi capitoli del volume è dedicato al SSN come motore di sviluppo e di democrazia.

Per troppi anni la maggioranza dei nostri rappresentanti politici ha visto nel Servizio sanitario nazionale solamente una fonte di costi elevata senza rendersi conto che grazie al SSN si è sviluppato un sistema che in Italia occupa direttamente 1.158.321[1] unità di personale sanitario, ai quali dobbiamo aggiungere quello amministrativo e quello dell’indotto (servizi sanitari, servizi ospedalieri e residenziali, commercio ecc.) per un totale di 2,4 milioni pari al 10% della forza lavoro del Paese.

La “filiera della salute” include i settori che producono, fanno ricerca, commercializzano e offrono servizi di natura sanitaria[2] ed è composta sia dalla parte pubblica, sia dalla parte privata che è prevalentemente dedita alla manifattura industria farmaceutica, dispositivi e tecnologie medicali), il commercio e i servizi.

Un sistema che ha anche favorito la crescita in Italia di una industria medicale che rappresenta uno dei principali motori di sviluppo del Paese[3] con una produzione pari a € 42,9 miliardi che rappresenta il 12,4% di quella realizzata a livello europeo.

Il saldo commerciale peraltro è negativo per € 0,5 mld mentre è positivo se si esamina il solo il settore farmaceutico.

Molto fiorente anche la produzione di dispositivi medici italiani che rappresentano il 10,0% di questo mercato in continua espansione.

Il saldo della bilancia dei pagamenti nel settore dei dispositivi medici, sempre nel 2017, pur essendo anch’esso negativo è in diminuzione ed è pari a € 1,9 miliardi.

Da non sottovalutare anche l’apporto delle ICT che stanno contribuendo notevolmente allo sviluppo del SSN.

Per quanto riguarda la diagnostica in vitro siano al 16,0% della produzione europea preceduti solo da Germania e Francia.

In sostanza la “filiera della salute” contribuisce in maniera notevole alla formazione della ricchezza nazionale producendo un elevato volume di reddito, assorbendo una quota rilevante di personale altamente qualificato ed investendo notevoli risorse nella ricerca e nell’innovazione.

Se guardiamo indietro, in questi quaranta anni l’assistenza sanitaria è cambiata in maniera notevole.

Il SSN in questi anni, nonostante i molti problemi, ha garantito:
-Maggiore sicurezza dal punto di vista sanitario;
-Benessere diffuso, con eliminazione del divario tra salute e benessere;
-Maggiore equità rispetto al passato, anche se permangono numerose disuguaglianze che rappresentano un fattore di malessere sociale da sradicare;
-Prevenzione delle malattie, che in precedenza era molto limitata.

Mentre un tempo le persone venivano ricoverate in ospedale quando non c’era più nulla da fare, per morire, oggi le persone si recano serene in ospedale per essere guarite e per poter tornare ad una vita normale insieme ai loro cari.

Peraltro, anche a causa delle mutate condizioni sociali e della situazione economica non favorevole si assiste ad una caduta di valori come la solidarietà sociale e ad una forte contrazione del welfare state.

Dopo l’epidemia sarà opportuno investire sul SSN per favorire la ripresa e per contribuire ad eliminare le profonde disuguaglianze che si sono create nel nostro Paese e per eliminare il forte disagio sociale causato dalla crisi economica dovuta al coronavirus.

Al link seguente è possibile leggere ed eventualmente acquistare sia la copia cartacea che quella in ebook:

https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/512667/salute-uguale-per-tutti-2/


[1]Dati ISTAT al 2017 che comprendono anche i medici di medicina generale

[2]Confindustria Rapporto annuale Filiera della salute

[3]D.D’ANGELA, C.CARRIERI, Industria sanitaria: evoluzione e prospettive, in 15° Rapporto del CREA Sanità

IL 29 GENNAIO LA CONFERENZA STATO-REGIONI ESPRIMERA’ IL PROPRIO PARERE SULL’USCITA DELLA REGIONE LAZIO DAL PIANO DI RIENTRO

Al secondo Punto dell’Ordine del giorno della Conferenza Stato-regioni del 29 gennaio è stato posto il seguente argomento:

“Parere, ai sensi dell’articolo 2, comma 78, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 sulla Delibera della Giunta della Regione Lazio n. 12 del 21 gennaio 2020 concernente la presa d’atto e il recepimento del “Piano di riorganizzazione, riqualificazione e sviluppo del Servizio Sanitario Regionale 2019 – 2021 ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 88 della legge 191/2009, secondo periodo, “adottato in via definitiva con il decreto del Commissario ad acta n. UOOO 18 del 20 gennaio 2020, ai fini dell’uscita dal commissariamento”. (SALUTE – ECONOMIA E FINANZE)Codice sito 4.10/2020/6 Servizio sanità, lavoro e politiche sociali.

Alla data odierna il DCA U00018 non è stato ancora pubblicato.

Una volta acquisito il parere della conferenza Stato-Regioni toccherà al Consiglio dei Ministri per la decisione finale.

LA CORTE COSTITUZIONALE DICHIARA LA ILLEGITTIMITà DELLA INCOMPATIBILITà DEL RUOLO DI PRESIDENTE DI REGIONE CON QUELLO DI COMMISSARIO AD ACTA PER IL PIANO DI RIENTRO DAI DISAVANZI

La Corte Costituzionale, Presidente Lattanzi e Redattore Franco Modugno ha depositato oggi la decisione del 22 ottobre scorso con cui ha accolto il ricorso della Regione Molise per l’annullamento dell’art. 25-septies del decreto-legge 23/10/2018, n. 119, convertito, con modificazioni, nella legge 17/12/2018, n. 136.

La Corte ha argomentato come segue: In linea di massima, deve infatti ritenersi corretta l’affermazione secondo la quale, una volta constatato il fallimento dei concordati Piani di rientro, i cui risultati sono accertati attraverso le periodiche verifiche effettuate nell’ambito di Tavoli di lavoro cogestiti, l’intervento dello Stato, attraverso l’istituto del commissariamento, coinvolge una fase di intervento sostitutivo ontologicamente riservato – sul piano normativo e gestionale – alle scelte statali, nell’ambito delle attribuzioni devolute e per le finalità indicate dall’art. 120, secondo comma, Cost.

E deve in proposito richiamarsi il costante assunto, ribadito da ultimo nelle sentenze n. 195 e n. 194 del 2019, secondo il quale «le Regioni possono evocare parametri di legittimità costituzionale diversi da quelli che sovrintendono al riparto di competenze tra Stato e Regioni solo a due condizioni: quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a riverberarsi sulle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite […] e quando le Regioni ricorrenti abbiano sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza della lamentata illegittimità costituzionale sul riparto delle competenze, indicando la specifica competenza che risulterebbe offesa e argomentando adeguatamente in proposito».

Occorre peraltro assegnare il dovuto risalto alla circostanza che, per il concreto atteggiarsi delle specifiche opzioni esercitate in ambiti pur riservati, lo Stato possa “incidere” su competenze regionali concorrenti – come la tutela della salute ed il coordinamento della finanza pubblica – secondo prospettive che la Regione può rivendicare come menomative, e di là dai limiti tracciati dalle necessità insite nell’intervento in sussidiarietà.

Ove così non fosse, d’altra parte, si realizzerebbe una ipotesi di totale sottrazione al controllo costituzionale da parte delle Regioni, circa i possibili ambiti di interferenza con le relative attribuzioni, in tutte le ipotesi in cui lo Stato faccia uso degli eccezionali poteri al medesimo conferiti per surrogare carenze degli enti locali, in particolare sul versante della tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Ebbene, nella vicenda in esame, introducendo la norma impugnata un meccanismo di incompatibilità tra la carica di commissario ad acta rispetto all’affidamento o alla prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la Regione commissariata, si determina una automatica menomazione sul piano delle competenze, anche rispetto alla previgente disciplina, dal momento che il quadro normativo preesistente consentiva l’esercizio di quella funzione da parte del Presidente della Regione commissariata.

Un novum normativo che finisce, quindi, per determinare (specie per i commissariamenti in atto, ricoperti da presidenti di Regione, che decadono dall’incarico) una significativa interferenza nella sfera regionale, anche sul versante del relativo assetto ordinamentale, riferito, per di più, alla gestione di ambiti di competenza (sanità e coordinamento della finanza pubblica) concorrenti, anche se incisi dall’intervento sostitutivo dello Stato.

Non è quindi contestabile la legittimazione della Regione a far valere i vizi di una normativa che – pur se inquadrata nell’ambito dell’esercizio del potere sostitutivo dello Stato – modifica il previgente regime, direttamente riguardante non le attribuzioni del commissario ad acta in quanto tali, ma la persona che ricopra l’incarico di Presidente della Regione, assunto come soggetto incompatibile a svolgere quelle funzioni.

Nel merito, la questione è fondata.

Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni avuto modo di ribadire che «l’inserimento di norme eterogenee rispetto all’oggetto o alla finalità del decreto-legge determina la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. Tale violazione, per queste ultime norme, non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza, giacché esse, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma scaturisce dall’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione attribuisce ad esso, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge» (sentenza n. 22 del 2012).

La legge di conversione è fonte funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge ed è caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare e semplificato rispetto a quello ordinario. Essa non può quindi aprirsi a qualsiasi contenuto, come del resto prescrive, in particolare, l’art. 96-bis del regolamento della Camera dei deputati. A pena di essere utilizzate per scopi estranei a quelli che giustificano l’atto con forza di legge, le disposizioni introdotte in sede di conversione devono potersi collegare al contenuto già disciplinato dal decreto-legge, ovvero, in caso di provvedimenti governativi a contenuto plurimo, «alla ratio dominante del provvedimento originario considerato nel suo complesso» (sentenza n. 32 del 2014).

D’altra parte, «il carattere peculiare della legge di conversione comporta anche che il Governo – stabilendo il contenuto del decreto-legge – sia nelle condizioni di circoscrivere, sia pur indirettamente, i confini del potere di emendamento parlamentare. E, anche sotto questo profilo, gli equilibri che la Carta fondamentale instaura tra Governo e Parlamento impongono di ribadire che la possibilità, per il Governo, di ricorrere al decreto-legge deve essere realmente limitata ai soli casi straordinari di necessità e urgenza di cui all’art. 77 Cost. (sentenze n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007)» (sentenza n. 154 del 2015).

È vero – e va ancora ribadito – che «[l]a legge di conversione […] rappresenta una legge “funzionalizzata e specializzata” che non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore, anche nel caso di provvedimenti governativi ab origine eterogenei (ordinanza n. 34 del 2013), ma ammette soltanto disposizioni che siano coerenti con quelle originarie o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico» (sentenza n. 32 del 2014).

Tuttavia questa Corte ha anche precisato che la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. per difetto di omogeneità si determina solo quando le disposizioni aggiunte siano totalmente «estranee» o addirittura «intruse», cioè tali da interrompere ogni correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione (sentenza n. 251 del 2014), per cui «Solo la palese “estraneità delle norme impugnate rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge” (sentenza n. 22 del 2012) o la “evidente o manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione tra le disposizioni incorporate nella legge di conversione e quelle dell’originario decreto-legge” (sentenza n. 154 del 2015) possono inficiare di per sé la legittimità costituzionale della norma introdotta con la legge di conversione» (sentenza n. 181 del 2019, nonché, da ultimo, nello stesso senso, sentenza n. 226 del 2019).

Ebbene, alla stregua dei richiamati principi, appare nella specie evidente che tra le norme che hanno formato oggetto del decreto-legge n. 119 del 2018 e quella oggetto di scrutinio, inserita ad opera della legge di conversione, non sia intravedibile alcun tipo di nesso che le correli fra loro, né sul versante dell’oggetto della disciplina o della ratio complessiva del provvedimento di urgenza, né sotto l’aspetto dello sviluppo logico o di integrazione, ovvero di coordinamento rispetto alle materie “occupate” dall’atto di decretazione.

L’originario decreto, infatti, enunciava i presupposti della straordinaria necessità e urgenza come raccordati a «misure per esigenze fiscali e finanziarie indifferibili». Il provvedimento, in particolare, era strutturato in due titoli: il primo, recante «Disposizioni in materia fiscale», ed il secondo, «Disposizioni finanziarie urgenti». Il primo titolo era a sua volta suddiviso in tre capi: il primo recante «Disposizioni in materia di pacificazione fiscale», composto da nove articoli; il capo II recante «Disposizioni in materia di semplificazione fiscale e di innovazione del processo tributario», composto di sette articoli; il capo III recante «Altre disposizioni fiscali», composto da quattro articoli. Il Titolo II era composto da sette articoli.

Come posto in evidenza dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, l’originario decreto-legge (composto, come si è detto, da 27 articoli) è passato, a seguito dell’esame del Senato, a 64 articoli complessivi. Il Comitato ha sottolineato, al riguardo, che il provvedimento appare riconducibile, sulla base del preambolo, a due distinte finalità: da un lato, quella di introdurre nuovi meccanismi di carattere fiscale; dall’altro lato, quella di effettuare rifinanziamenti di significativi stanziamenti di bilancio (quali le risorse destinate al contratto di programma con le società RFI-Spa, art. 21; quelle per il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, art. 22; quelle per l’autotrasporto, art. 23; quelle per le missioni internazionali, art. 24; a queste finalità – ha ancora osservato il Comitato – se ne aggiunge una terza, per quanto non riportata nel preambolo, vale a dire quella di intervenire in materia di integrazione salariale straordinaria, art. 25. «Andrebbe approfondita – rileva il documento – la riconducibilità a tale perimetro» di varie norme introdotte in sede di conversione, fra le quali si cita espressamente proprio l’art. «25-septies (piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario)», che costituisce oggetto dei ricorsi.

Va infine sottolineato che il Comitato conclusivamente «raccomanda altresì quanto segue: abbia cura il Legislatore di volersi attenere alle indicazioni di cui alle sentenze della Corte costituzionale n. 22 del 2012 e n. 32 del 2014 in materia di decretazione d’urgenza, evitando “la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei”».

Pertanto, esclusa qualsiasi pertinenza delle disposizioni di carattere fiscale contenute nel titolo I del decreto rispetto al tema dei commissari per il ripianamento delle spese sanitarie regionali, non può non sottolinearsi come del tutto eccentrico rispetto a quel tema si presenti anche l’oggetto (e la ratio) delle disposizioni di carattere “finanziario”, posto che gli articoli del decreto “incasellati” nel titolo II sono dedicati, come si è visto, al finanziamento di specifiche attività o fondi tutti eterogenei gli uni rispetto agli altri.

D’altra parte, a segnalare la eccentricità della norma censurata rispetto alla materia del decreto sta – come correttamente puntualizza la Regione ricorrente – il rilievo che, in sede di conversione del decreto stesso, il legislatore abbia avvertito l’esigenza di modificare, in parte qua, proprio la rubrica del titolo II, introducendo le parole «e disposizioni in materia sanitaria», a testimonianza della estraneità della norma rispetto al contenuto del provvedimento convertito.

A tale riguardo, l’Avvocatura generale dello Stato osserva, da un lato, che la disposizione oggetto dei ricorsi è intervenuta su norme contenute in due leggi finanziarie, e dunque rientrerebbe nella “materia finanziaria” che costituisce in parte oggetto dell’originario decreto. Dall’altro lato, la difesa dello Stato rileva che la disciplina dei piani di rientro afferisce pacificamente alla materia della finanza pubblica e, in particolare, alle politiche di bilancio, dal momento che l’andamento economico della sanità regionale costituisce una componente essenziale del quadro macroeconomico nazionale, specie con riferimento proprio al caso dei commissariamenti, che presuppongono uno squilibrio di gravità tale da imporre interventi immediati sul piano del contenimento della spesa pubblica, a salvaguardia della unità economica nazionale e dei livelli essenziali di prestazioni in tema di salute.

A fronte di tali rilievi deve però rilevarsi che il concetto di “materia finanziaria” si riempie dei contenuti definitori più vari, in ragione degli oggetti specifici cui essa risulta in concreto riferita; mentre, non è certo la sedes in cui la norma risulti inserita (legge finanziaria) quella dalla quale cogliere quei tratti di univocità di ratio che la difesa della resistente pretenderebbe desumere.

È proprio perché la “materia finanziaria” risulta concettualmente “anodìna” – dal momento che ogni intervento normativo può, in sé, generare profili che interagiscono anche con aspetti di natura “finanziaria” – che il riferimento ad essa, come identità di ratio, risulta in concreto non pertinente a fronte di una disposizione i cui effetti finanziari sono indiretti rispetto all’oggetto principale che essa disciplina, giacché – ove così non fosse – le possibilità di “innesto” in sede di conversione dei decreti-legge di norme “intruse” rispetto al contenuto ed alla ratio complessiva del provvedimento di urgenza risulterebbero, nei fatti, privata di criteri e quindi anche di scrutinabilità costituzionale.

La disposizione impugnata deve pertanto essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 77 Cost.