
La Corte dei conti il 2 dicembre è stata audita dalle Commissioni Bilancio riunite della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica sul bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e sul Bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025 (A.C. 643).
Al riguardo, per quanto riguarda la sanità secondo la Corte la previsione della spesa sanitaria in termini di contabilità economica raggiungerebbe i 133,8 miliardi, ponendosi in tal modo solo poco al di sotto di quella prevista per il 2022 (133,9 miliardi).
Nonostante l’aumento disposto, il profilo della spesa in termini di prodotto è confermato in riduzione nel prossimo biennio (-1,1 per cento in media all’anno). Il rapporto fra la spesa sanitaria e Pil si porta su livelli inferiori a quelli precedenti alla crisi sanitaria già dal 2024 (al 6,3 per cento), per ridursi ancora di un decimo di punto nell’anno terminale.
Con l’incremento previsto di 2 miliardi l’importo riconosciuto per la copertura del fabbisogno sanitario nazionale cresce a 128,2 miliardi nel 2023 e a 130,4 e 133,5 nel biennio successivo. La crescita rispetto al 2022 è limitata (2,1 per cento) ed è destinata in gran parte a compensare gli aumenti legati al caro energia (1,4 miliardi sono vincolati a tale obiettivo).
Sempre secondo la Corte dopo l’emergenza che ha caratterizzato lo scorso triennio si ripropone quindi il gap mai risolto tra le risorse dedicate nel nostro Paese al sistema sanitario e quelle dei principali partner europei. Una differenza resa più grave dagli andamenti demografici: già oggi l’Italia è caratterizzata da una quota di popolazione anziana superiore agli altri paesi, quota destinata a crescere in misura significativa nei prossimi anni; elevato è poi il rapporto tra pensionati e occupati: un tasso di dipendenza che si riflette naturalmente anche sulla sostenibilità complessiva del nostro sistema di welfare (e soprattutto su quello pensionistico).
Sono molteplici le necessità che caratterizzano la gestione sanitaria: rilevanti i fabbisogni di personale riconducibili a carenze strutturali e, in prospettiva, alla riforma dell’assistenza territoriale; permangono le necessità per il riassorbimento delle liste d’attesa cresciute con la pandemia; va data attuazione effettiva ai nuovi Lea, mentre continuano a persistere differenze nell’assistenza offerta a livello territoriale.
Come è noto – prosegue sempre la Corte – al di là dei fabbisogni di personale legati anche alla riforma dell’assistenza territoriale, sono comunque rilevanti le necessità che emergono già nella condizione attuale e che riguardano soprattutto il personale medico di alcune specializzazioni (medicina di urgenza, anestesia e rianimazione, etc.) e quello infermieristico, pesantemente sottodimensionato in molte aree e nel confronto con standard europei.
Sul tema della “fuga dai pronto soccorsi” interviene la legge di bilancio prevedendo uno specifico contributo (ma da attribuire nel 2024) a medici ed infermieri. Per quanto opportuno, appare difficile che una tale misura possa fornire una risposta sufficiente ad un disagio che trova fondamento anche nelle condizioni in cui medici e infermieri si trovano ad operare. La disaffezione è spesso collegata all’utilizzo improprio delle strutture di PS, chiamate a rispondere a carenze dell’assistenza territoriale che vanno al più presto affrontate. Basti pensare all’assoluta preminenza tra i casi trattati nella condizione attuale di quelli più semplici, che potrebbero trovare una soluzione più adeguata in ambito ambulatoriale (i codici bianchi o verdi rappresentano, rispettivamente, circa il 15 e il 61 per cento del totale degli accessi).
Ritengo che non sia più possibile trattare uno dei diritti fondamentali dei cittadini in questo modo.
La gravissima crisi economica e sociale che ha colpito il Paese spingerà sempre più famiglie in condizioni di povertà e nell’impossibilità di pagarsi le cure che non riesce ad assicurare il SSN di tasca propria.
E’ necessario trovare una soluzione urgente per evitare che i LEA divengano inesigibili da gran parte della popolazione.
Per fare questo occorre assicurare certezze al Servizio Sanitario pubblico e questo si può fare solamente aumentando stabilmente il finanziamento in una misura congrua rispetto alla media dei Paesi europei, evitando ogni anno di dover intervenire per cercare di rimediare qualche euro in più per questa o quella categoria.
Saranno necessarie soprattutto più risorse per il personale oramai sottodimensionato dopo anni di blocco del turn over e di liniti di spesa che sono serviti solo ad aumentare l’affidamento all’esterno dei servizi sanitari e ad arricchire le imprese private.
Servirà almeno l’8% rispetto al PIL invece del misero 6% previsto per il prossimo anno.
Ma i partiti che a suo tempo promossero la riforma sanitaria e che l’hanno approvata devono darsi una mossa.