
Al momento dello scoppio dell’epidemia da più parti si sono alzate molte voci per sollecitare l’aumento del finanziamento pubblico per la sanità e per il potenziamento del servizio pubblico anche in relazione alla numerosità dei morti in Lombardia che aveva fatto dell’affidamento al privato dell’assistenza territoriale – individuata come il nodo che non ha funzionato – uno dei suoi cavalli di battaglia.
Così il Fondo Sanitario Nazionale è arrivato nel 2022 al 7,3 del PIL.
Ma ben presto nel Documento Economico di Finanza è stata prevista una discesa progressiva della percentuale di spesa per la sanità fino ad arrivare nel 2025 al 6,2. Da quanto si è appreso dall’audizione in Parlamento del direttore generale del Ministero dell’economia e delle finanze non è inoltre prevista la copertura della spesa per il reclutamento del personale necessario per l’attuazione del decreto 77 del 2022 che prevede la riforma dell’assistenza territoriale con la gestione delle Case della salute della comunità, degli infermieri di famiglia, del personale per gli ospedali di comunità, ecc. (si parla di circa 30.000 tra medici, infermieri ed altre qualifiche).
Fino ad ora parte della spesa complessiva è stata coperta dai cittadini che hanno pagato di tasca propria i servizi e le prestazioni ma a causa dell’inflazione galoppante saranno sempre più le famiglie che, avendo difficoltà di accedere al servizio pubblico (ad es. a causa dei tempi di attesa), non potranno affrontare le spese sanitarie e che saranno costrette a non curarsi.

su dati OCSE (OECD Health Statistics 2022).
Ora, con l’approssimarsi delle elezioni cominciano a circolare voci di un servizio sanitario pubblico che non funziona per cui sarebbe necessario privatizzarlo.
Come al solito certi politici come bambini viziati se il giocattolo non funziona invece di ripararlo lo buttano via.
Evidentemente le persone che avanzano queste proposte non rammentano che il Servizio Sanitario Nazionale italiano è nato sulla base di un compromesso politico per cui da una parte è rimasta la nazionalizzazione degli ospedali voluta dall’on.le Mariotti nel 1968 (che, nonostante tutti i problemi funziona ancora) e dall’altra il sistema ereditato dalle mutue con le convenzioni (con i medici di famiglia, gli specialisti ambulatoriali interni, le case di cura, i laboratori di analisi, i gabinetti radiologici, ecc. ecc.). A questa situazione si sono poi aggiunti i servizi distrettuali per la quasi totalità affidati all’esterno: trasporti sanitari di emergenza (ambulanze, eliambulanze, ecc.), assistenza domiciliare, RSA, presìdi di riabilitazione, ecc.
Il risultato secondo l’Annuario statistico 2020 del Ministero della salute è il seguente:

A tutto ciò si devono aggiungere i servizi economali ospedalieri (ausiliariato, pulizie, ristorazione, ecc.), la manutenzione, il riscaldamento, la vigilanza, ecc. tutti affidati grazie all’aziendalizzazione a ditte esterne senza una valutazione preventiva del make or buy , senza controlli adeguati e senza una valutazione alla scadenza del contratto.
Sarebbe il caso di verificare quanto si sarebbe speso in questi ultimi venti anni se si fossero gestiti direttamente tutti i servizi.
Come si può vedere in molti settori la privatizzazione è già cosa fatta e purtroppo non sono quelli che vanno meglio dato che abbiamo pianto per le centinaia degli anziani morti nelle RSA private accreditate.
Le aziende sanitarie sono delle aziende particolari in quanto a fronte dell’input del finanziamento regionale non dovrebbero produrre pareggi di bilancio ma come output sanità e benessere, ma il Referto epidemiologico annuale previsto per legge non viene mai pubblicato.
Pertanto, affermare che si vuole privatizzare ulteriormente il servizio sanitario nazionale appare non solo una presa in giro dato che oramai non ci resta molto da privatizzare, ma soprattutto sarebbe un’altra decisione non ponderata che porterebbe al collasso definitivo lo stesso equilibrio finanziario del sistema.
Non bisogna cadere nella trappola del taglio dei fondi, del taglio del personale facendo arrabbiare la gente per dimostrare che non funziona più nulla e che pertanto occorrerebbe privatizzare tutto.
La risposta non può che essere quella di completare la riforma secondo il modello “Beveridge” ipotizzato a suo tempo proprio dall’on.le Mariotti ricostruendo il servizio pubblico unico ed universale mettendo a rapporto d’impiego tutto il personale, eliminando le convenzioni con le case di cura e nazionalizzando le farmacie.