
In merito al dibattito che di fatto si è aperto sullo schema del cosiddetto DM 71 recante “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale”, che ha già stimolato molti interventi qualificati, con la presente desidero fornire il mio contributo per una più completa definizione del Sistema di Emergenza Pre-ospedaliero per segnalare le cose che mancano e che dovrebbero essere aggiunte.
Al riguardo mi permetto di sollevare il problema dell’Emergenza Sanitaria Territoriale, già compresa tra i Livelli essenziali di Assistenza nel d.p.c.m. 29 novembre 2001 e della fase di risposta pre-ospedaliera.
In base alla delega contenuta nell’art. 1, comma 169 della legge n. 311 del 2004 e alla sentenza della Corte costituzionale n. 134, del 2006, con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 avrebbero dovuto essere fissati gli standard qualitativi, quantitativi, strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di esito di cui ai Livelli Essenziali di Assistenza , previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Il comma 180 del predetto articolo 1 della legge 311/2004 stabilisce che le regioni interessate al raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario avrebbero dovuto farlo nel rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza.
Purtroppo il d.m, 2 aprile 2015, n. 70, recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera, non si è limitato ad approvare gli standard indicati nell’oggetto, in quanto al punto 9 è intervenuto anche sulla rete dell’emergenza urgenza territoriale, già peraltro disciplinata dal d.p.r. 27 marzo 1992, prevedendo in particolare al punto 9.1.5. la trasformazione dei Punti di Primo Intervento in postazioni medicalizzate del 118, il che ha rappresentato una vera e propria dequalificazione del relativo LEA.
Detto provvedimento ha creato notevole contenzioso nelle regioni che lo hanno recepito e una grande disomogeneità nell’organizzazione del Sistema di emergenza pre-ospedaliera con rilevanti problematiche circa la copertura del servizio, appesantimento del ricorso ai Pronto Soccorso ospedalieri e anche difformità nella denominazione degli ex PPI non solo da una regione all’altra, ma addirittura all’interno di una stessa regione (es. Lazio) con rischio di disorientamento per le persone.
Il d.p.c.m. 12 gennaio 2017, nel confermare l’Emergenza Sanitaria Territoriale tra i LEA distrettuali (artt. 3 e 7) stabilisce che il Servizio sanitario nazionale garantisce, in situazioni di emergenza urgenza in ambito territoriale extraospedaliero, interventi sanitari tempestivi e finalizzati alla stabilizzazione del paziente, assicurando il trasporto in condizioni di sicurezza al presidio ospedaliero più appropriato.
Il tempo massimo dei venti minuti per raggiungere il Pronto Soccorso più appropriato in molti casi non viene rispettato.
Inoltre talora verrebbe reclutato personale che non è in possesso dell’attestato previsto dal comma 1 dell’art. 96 dell’accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale del 29 luglio 2009.
Come se non bastasse può avvenire che in caso di malattia od altro, qualche medico non possa assicurare il proprio turno di servizio e che non venga sostituito, così il PPI rimane chiuso in quanto l’infermiere non lo può sostituire.
Si sperava che il provvedimento, che in base al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza avrebbe dovuto recare la riforma dell’assistenza territoriale, affrontasse il problema del Sistema dell’emergenza sanitaria territoriale fornendo modelli e standard per la pianificazione dei Punti di Primo Intervento in rapporto agli abitanti e all’orografia, ma nel testo appaiono solo generici riferimenti come:
-La Centrale Operativa Territoriale: «…dialoga con la rete dell’emergenza urgenza» (Punto 8);
-La centrale operative 116117: «…ha la funzione di facilitare l’accesso della popolazione alle cure mediche non urgenti e ad altri servizi territoriali a bassa intensità raccordandosi anche con il servizio di continuità assistenziale e di emergenza urgenza…» (Punto 9);
-L’ospedale di Comunità: «…opera in forte integrazione con gli altri servizi …e i servizi di emergenza urgenza territoriali…» (Punto 11).
Ma, dopo lo smantellamento dei Punti di Primo Intervento avvenuto in alcune regioni secondo una errata interpretazione del D.M. 70 del 2015 , non vi è cenno nel nuovo DM71 in cosa consistano e come siano organizzati i servizi dell’emergenza sanitaria territoriale per quanto riguarda la fase di risposta pre-ospedaliera.
Appare pertanto indispensabile prevedere nello schema dell’emanando decreto legislativo la definizione e l’organizzazione del Sistema di emergenza pre-ospedaliero prevedendo l’integrazione e l’interdipendenza con il Sistema di Emergenza Urgenza Ospedaliero utilizzando la metodologia hub & spoke, ma deve essere anche riqualificato il ruolo dei Punti di Primo Intervento con particolare riguardo alle aree a bassa/media intensità di popolazione nelle quali il Pronto Soccorso di riferimento sia difficilmente raggiungibile e che comunque disti oltre i venti minuti.
In ogni provincia dovrebbe essere fatto un piano che preveda la sede dei PPI che dovrebbero essere ospitati possibilmente all’interno delle Case della salute della Comunità anche al fine dell’integrazione con il servizio della Continuità assistenziale.
Una particolare attenzione dovrebbe essere posta anche al personale utilizzato nei PPI e alla sua formazione prevedendo possibilmente una unificazione con quello ospedaliero.
Al riguardo ho scritto al Ministro Speranza e alle Presidenti delle competenti Commissioni del Senato e della Camera dei deputati.