
Come molti ricorderanno all’inizio dell’epidemia suscitò molte polemiche un documento della Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti) intitolato “Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili” secondo cui “Le previsioni sull’epidemia da Coronavirus (Covid-19) attualmente in corso in alcune regioni italiane stimano per le prossime settimane, in molti centri, un aumento dei casi di insufficienza respiratoria acuta (con necessità di ricovero in Terapia Intensiva) di tale entità da determinare un enorme squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazione e la disponibilità effettiva di risorse intensive. È uno scenario in cui potrebbero essere necessari criteri di accesso alle cure intensive (e di dimissione) non soltanto strettamente di appropriatezza clinica e di proporzionalità delle cure, ma ispirati anche a un criterio il più possibile condiviso di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate. Uno scenario di questo genere è sostanzialmente assimilabile all’ambito della “medicina delle catastrofi”, per la quale la riflessione etica ha elaborato nel tempo molte concrete indicazioni per i medici e gli infermieri impegnati in scelte difficili. Come estensione del principio di proporzionalità delle cure, l’allocazione in un contesto di grave carenza (shortage) delle risorse sanitarie deve puntare a garantire i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico: si tratta dunque di privilegiare la “maggior speranza di vita”. Il bisogno di cure intensive deve pertanto essere integrato con altri elementi di “idoneità clinica” alle cure intensive, comprendendo quindi: il tipo e la gravità della malattia, la presenza di comorbidità, la compromissione di altri organi e apparati e la loro reversibilità. Questo comporta di non dover necessariamente seguire un criterio di accesso alle cure intensive di tipo “first come, first served”. È comprensibile che i curanti, per cultura e formazione, siano poco avvezzi a ragionare con criteri di triage da maxi-emergenza, in quanto la situazione attuale ha caratteristiche di eccezionalità. La disponibilità di risorse non entra solitamente nel processo decisionale e nelle scelte del singolo caso, finché le risorse non diventano così scarse da non consentire di trattare tutti i pazienti che potrebbero ipoteticamente beneficiare di uno specifico trattamento clinico. È implicito che l’applicazione di criteri di razionamento è giustificabile soltanto dopo che da parte di tutti i soggetti coinvolti (in particolare le “Unità di Crisi” e gli organi direttivi dei presidi ospedalieri) sono stati compiuti tutti gli sforzi possibili per aumentare la disponibilità di risorse erogabili (nella fattispecie, letti di Terapia Intensiva) e dopo che è stata valutata ogni possibilità di trasferimento dei pazienti verso centri con maggiore disponibilità di risorse. È importante che una modifica dei criteri di accesso possa essere condivisa il più possibile tra gli operatori coinvolti. Ai pazienti e ai loro familiari interessati dall’applicazione dei criteri deve essere comunicata la straordinarietà delle misure in atto, per una questione di dovere di trasparenza e di mantenimento della fiducia nel servizio sanitario pubblico”.
Ora che la situazione dell’epidemia è tornata ad aggravarsi e con essa la limitatezza dei posti letto a disposizione la FNOMCeO ha istituito un gruppo di lavoro con la SIAARTI con l’obiettivo di avviare congiuntamente una riflessione riportando in modo condiviso il ragionamento entro l’alveo della deontologia medica e a valutare l’opportunità di prevedere eventuali modifiche del Codice di Deontologia Medica.
Nel nuovo documento datato 30 ottobre e pubblicato sul sito web della SIAARTI si legge che “Il diritto individuale all’eguale accesso alle cure sanitarie deve rimanere il cardine della protezione che lo Stato è tenuto a fornire e che i Medici hanno il dovere di garantire quale principio deontologico indissolubile7. Il ricorso selettivo a criteri che valgano a legittimare differenziate modalità di cura è da considerarsi esclusivamente in stato di assoluta necessità (emergenza/urgenza indifferibile in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili). Il ricorso a tali criteri non può essere inteso come il diniego del principio non negoziabile dell’uguaglianza di valori di ogni essere umano. Sono garantiti quali criteri di scelta sotto il profilo deontologico e professionale8: il rispetto, la tutela della dignità e della salute della persona, la proporzionalità e l’adeguatezza delle cure, l’equità d’accesso, il criterio di beneficialità, l’età e/o le altre situazioni di vulnerabilità. Tali criteri di scelta non possono essere utilizzati separatamente”.
Tuttavia il documento precisa che “Nelle situazioni emergenziali il medico finalizza l’uso ottimale delle risorse alla salvaguardia della sicurezza, dell’efficacia e dell’umanizzazione delle cure evitando ogni discriminazione. Il medico deve altresì espletare ogni azione possibile per ottenere le necessarie risorse aggiuntive soprattutto in relazione ai trattamenti intensivi e sub intensivi. Nel caso in cui lo squilibrio tra necessità e risorse disponibili persista, è data precedenza per l’accesso ai trattamenti intensivi a chi potrà ottenere grazie ad essi un concreto, accettabile e duraturo beneficio. A tale fine si applicano criteri rigorosi, espliciti, concorrenti e integrati, valutati sempre caso per caso, quali: la gravità del quadro clinico, le comorbilità, lo stato funzionale pregresso, l’impatto sulla persona dei potenziali effetti collaterali delle cure intensive, la conoscenza di espressioni di volontà precedenti nonché la stessa età biologica, la quale non può mai assumere carattere prevalente”
Infine, sia pur con tutte le cautele possibili il documento termina con un capoverso dedicato agli esiti incerti di cura secondo cui “Anche al fine di una corretta comunicazione dello stato di salute al paziente critico, o ai suoi familiari o rappresentanti legali, è necessario tenere presente che le situazioni di incertezza prognostica sono tutt’altro che infrequenti e possono rendere giustificato l’avvio di trattamenti intensivi per valutarne l’efficacia nel singolo caso, sulla base dei criteri esplicitati …. Ciò non è in alcun caso assimilabile a un “trial sperimentale” pur limitato nel tempo, ma rientra nelle cure ragionevolmente considerate proporzionate e finalizzate al risultato positivo, pur se incerto. Nel caso in cui il trattamento si dimostri inefficace, a fronte di una prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati.